il personaggio
La scienziata Roberta Sinatra: «Così ho calcolato l’algoritmo dell’arte»
«Science» e lo studio dell’italiana su 500 mila creativi: «Non basta avere talento, servono contatti e fortuna»
La frase più pericolosa che esista è «si è sempre fatto così». L’ha detto una delle prime programmatrici donne della storia (Grace Hopper) ed è diventato anche il motto di Roberta Sinatra. A 35 anni è una stella emergente della scienza delle reti, appena approdata su Science con uno studio che analizza le dinamiche del successo nel mondo dell’arte.
Effetto MoMa
«Per scoprire cose nuove bisogna pensare in modo diverso», ci dice sorridendo. Il suo approccio consiste nel setacciare miriadi di dati alla ricerca di regolarità. Analizzando le traiettorie professionali di quasi mezzo milione di artisti, Sinatra e colleghi hanno appurato che il talento da solo non basta. Un altro fattore prevale su tutti: l’accesso precoce a istituzioni prestigiose, geograficamente concentrate e strettamente interconnesse. Chiamatelo effetto MoMA, o effetto Guggenheim, se vi pare. «È scioccante, ma i luoghi in cui un artista espone le prime cinque opere ne decidono la carriera per i successivi 20 anni», afferma la ricercatrice. Poi, a parità di condizioni, ci mette lo zampino il caso. «Per esempio non era scontato che la Gioconda diventasse il quadro più famoso del mondo». La qualità non coincide con il valore percepito, e in un universo parallelo i visitatori del Louvre si farebbero i selfie davanti alla «Vergine delle rocce», se nel 1911 il furto del secolo avesse mirato a quel quadro anziché a Monna Lisa.
I dati
Sinatra si è laureata in fisica a Catania, ha lavorato a Boston e Budapest con il guru della complessità Albert-László Barabási, con cui firma questo studio. Fa ricerca a Vienna e Torino, e a breve si trasferirà a Copenhagen. «Il posto in cui si lavora è importante per fare scienza, ma conta molto più nell’arte», spiega. Macinando i numeri relativi a 16.000 gallerie, 7.500 musei e 1.200 case d’aste, spaziando fra 143 Paesi e 36 anni di dati, emerge che le quotazioni di un artista dipendono dal network di curatori e direttori che lo promuovono. «Si pensi a Jean-Michel Basquiat, una sua opera è stata venduta per oltre 110 milioni di dollari», dice la ricercatrice. Siglava i graffiti in coppia con Al Diaz, che invece non ha sfondato. Forse nemmeno Basquiat sarebbe diventato una celebrity se Andy Warhol e Keith Haring non gli avessero aperto le porte giuste. E che dire dell’ultimo Banksy, semidistrutto in sede d’asta? «Alcune dinamiche sociali possono amplificare la divergenza tra performance e successo addirittura nel giro di pochi minuti. È il caso della Ragazza con il palloncino, che ha guadagnato in popolarità passando attraverso il tagliacarte nella cornice», nota Sinatra.
Pregiudizi
La morte precoce di un artista, un evento clamoroso, una contesa internazionale possono funzionare da moltiplicatore. Per gli outsider, comunque, è quasi impossibile farcela. Il cuore della rete analizzata su Science batte nel Nord America e in Europa. Debuttare in una galleria affermata garantisce il doppio delle esposizioni rispetto a chi parte in periferia. I suoi lavori sono venduti all’asta 5 volte più spesso, con quotazioni massime 5 volte più alte. Basta allontanarsi dal centro e addio sogni di gloria. Si affaccia un dubbio: questo studio non finirà per giustificare i pregiudizi sull’arte moderna? «I dati non negano l’esistenza di qualità intrinseche, ma se non si conosce il contesto quantificarle è impossibile», risponde Sinatra. Per offrire a tutti i pittori una chance, bisognerebbe estrarre o scegliere in cieco alcune opere da esporre nei templi dell’arte mondiale. Chissà se il merito conta di più nella letteratura e nel cinema, per scoprirlo Sinatra sta già scaldando gli algoritmi.