I libri del mese
Peter Turchin, The armed monkey (Utet)
Translation by Luca Fusari, Sara Prencipe
Peter Turchin è uno studioso abbastanza unico nel suo genere. Entomologo di formazione, a un certo punto della sua carriera accademica ha deciso di abbandonare la “scienza” per dedicarsi allo studio della storia e di applicare a questa modelli matematici in grado di tracciare e prevedere le sue dinamiche. Per questo motivo (e anche per il fatto di essersi lanciato in predizioni quasi avverate), Turchin è stato ritratto dai più importanti giornali del mondo come una sorta di incarnazione di Hari Seldon, il personaggio inventato da Isaac Asimov, fondatore e sacerdote della psicostoria. In realtà appartiene alla stessa categoria di Jared Diamond e di Harari, quella dei grandi divulgatori della storia dell’uomo. In questo libro, da poco uscito per Utet, più che predire disastrosi eventi futuri, Turchin si occupa di spiegarci come l’uomo, con l’eccezione degli insetti sociali (e delle formiche in particolare), sia la specie più cooperativa del pianeta e debba il suo successo evolutivo proprio a questa capacità, ma anche di come «diecimila anni di guerre abbiano di fatto (e sorprendentemente) contribuito a consolidare l’ultrasocialità, ovvero la capacità degli esseri umani di formare grandi gruppi di estranei che collaborano: dalle cittadine alle grandi metropoli, fino a intere nazioni e oltre». Fa veramente uno strano effetto leggere La scimmia armata alzando gli occhi dalle immagini della guerra in Ucraina, molto più che passare dal particolare al generale, è un passaggio bruschissimo dall’emotività alla logica, che resiste ferrea pure parlando di cose emotive come i milioni di morti ammazzati prodotti dall’uomo nella sua storia. Nel modo in cui Turchin racconta la specificità anatomica dell’uomo come lanciatore di pietre e dalla capacità decisiva di controllare le cosiddette armi missili (tutte quelle che non prevedono lo scontro corpo a corpo), stabiliamo una distanza con noi stessi e con la nostra storia che ci permette di vederci come se appunto stessimo osservando i comportamenti di una specie animale. Uno straniante spostamento di prospettiva di questi tempi, ma forse in qualche modo utile. (Cristiano de Majo)